martedì 13 dicembre 2011

Waiting for Christmas (13) - "Comincia a nevicare" di Grazia Deledda

Cari lettori,
in questo nuovo appuntamento con lo speciale "Waiting for Christmas", desidero presentarvi un racconto di Grazia Deledda, la prima (e purtroppo ancora unica) scrittrice italiana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
Tra i vari racconti che ha dedicato al Natale ho scelto:


"Comincia a nevicare" 

- Siamo tutti in casa? - domandò mio padre, rientrando una sera sul tardi, tutto intabarrato e col suo fazzoletto di seta nera al collo. E dopo un rapido sguardo intorno si volse a chiudere la porta col paletto e con la stanga, quasi fuori s'avanzasse una torma di ladri o di lupi. Noi bambine gli si saltò intorno curiose e spaurite.
- Che c'è, che c'è?
- C'è che comincia a nevicare e ne avremo per tutta la notte e parecchi giorni ancora: il cielo sembra il petto di un colombo.
- Bene - disse la piccola nonna soddisfatta. - Così crederete a quello che raccontavo poco fa.
Poco fa la piccola nonna, che per la sua statura e il suo viso roseo rassomigliava a noi bambine, ed era più innocente e buona di noi, raccontava per la millesima volta che un anno, quando anche lei era davvero bambina (nel mille, diceva il fratellino studente, già scettico e poco rispettoso della santa vecchiaia), una lunga nevicata aveva sepolto e quasi distrutto il paese.
- Quattordici giorni e quattordici notti nevicò di continuo, senza un attimo d'interruzione. Nei primi giorni i giovani e anche le donne più audaci uscivano di casa a cavallo e calpestavano la neve nelle strade; e i servi praticavano qualche viottolo in mezzo a quelle montagne bianche ch'erano diventati gli orti ed i prati. Ma poi ci si rinchiuse tutti in casa, più che per la neve, per l'impressione che si trattasse di un avvenimento misterioso; un castigo divino. Si cominciò a credere che la nevicata durasse in eterno, e ci seppellisse tutti, entro le nostre case delle quali da un momento all'altro si aspettava il crollo. Peccati da scontare ne avevamo tutti, anche i bambini che non rispettavano i vecchi (questa è per te, signorino studente); e tutti si aveva anche paura di morire di fame.
- Potevate mangiare i teneri bambini, come nel mille - insiste lo studentello sfacciato.
- Va via, ti compatisco perché sei nell'età ingrata, - dice il babbo, che trova sempre una scusa per perdonare, - ma con queste cose qui non si scherza. Vedrai che fior di nevicata avremo adesso. Eppoi senti senti...
D'improvviso saliva dalla valle un muggito di vento che riempiva l'aria di terrore: e noi bambine ci raccogliemmo intorno al babbo come per nasconderci sotto le ali del suo tabarro.
- Ho dimenticato una cosa: bisogna che vada fuori un momento - egli dice frugandosi in tasca.
- Vado io, babbo - grida imperterrito il ragazzo; ma la mamma, bianca in viso, ferma tutti con un gesto.
- No, no, per carità, adesso!
- Eppure è necessario - insiste il babbo preoccupato. - Ho dimenticato di comprare il tabacco.
Allora la mamma si rischiara in viso e va a cercare qualche cosa nell'armadio.
- Domani è Sant'Antonio; è la tua festa, ed io avevo pensato di regalarti...
Gli presenta una borsa piena di tabacco, ed egli s'inchina, ringrazia, dice che la gradisce come se fosse piena d'oro; intanto si lascia togliere dalle spalle il tabarro e siede a tavola per cenare.
La cena non è come al solito, movimentata e turbata da incidenti quasi sempre provocati dall'irrequietudine dei commensali più piccoli; tutti si sta fermi, quieti, intenti alle voci di fuori.
- Ma quando c'è questo gran vento, - dice la nonna - la nevicata non può essere lunga. Quella volta...
Ed ecco che ricomincia a raccontare; ed i particolari terribili di quella volta aumentano la nostra ansia, che in fondo però ha qualche cosa di piacevole. Pare di ascoltare una fiaba che da un momento all'altro può mutarsi in realtà.
Quello che sopratutto ci preoccupa è di sapere se abbiamo abbastanza per vivere, nei giorni di clausura che si preparano.
- Il peggio è per il latte: con questo tempo non è facile averlo.
Ma la mamma dice che ha una grossa scatola di cacao: e la notizia fa sghignazzare di gioia il ragazzo, che odia il latte. Gli altri bambini non osano imitarlo; ma non si afferma che la notizia sia sgradita. Anche perché si sa che oltre il cacao esiste una misteriosa riserva di cioccolata e, in caso di estrema necessità, c'è anche un vaso di miele.
Delle altre cose necessarie alla vita non c'è da preoccuparsi. Di olio e vino, formaggio e farina, salumi e patate, e altre provviste, la cantina e la dispensa sono rigurgitanti. E carbone e legna non mancano. Eravamo ricchi, allora, e non lo sapevamo.
- E adesso - dice nostro padre, alzandosi da tavola per prendere il suo posto accanto al fuoco - vi voglio raccontare la storia di Giaffà.
Allora vi fu una vera battaglia per accaparrarsi il posto più vicino a lui: e persino la voce del vento si tacque, per lasciarci ascoltare meglio. Ma la nonnina, allarmata dal silenzio di fuori, andò a guardare dalla finestra di cucina, e disse con inquietudine e piacere:
- Questa volta mi pare che sia proprio come quell'altra.
Tutta la notte nevicò, e il mondo, come una grande nave che fa acqua, parve sommergersi piano piano in questo mare bianco. A noi pareva di essere entro la grande nave: si andava giù, nei brutti sogni, sepolti a poco a poco, pieni di paura ma pure cullati dalla speranza in Dio.
E la mattina dopo, il buon Dio fece splendere un meraviglioso sole d'inverno sulla terra candida, ove i fusti dei pioppi parevano davvero gli alberi di una nave pavesata di bianco.

L'autrice

Grazia Deledda nacque nel 1871 a Nuoro da una famiglia benestante ed esordì giovanissima (appena 17enne) pubblicando alcuni racconti per una rivista di moda.
L'ambiente sardo non poteva offrirle la possibilità di studi regolari e così la adolescente Deledda si fece autodidatta, fornendosi di una cultura disorganica e poco approfondita.
Riuscì a pubblicare il suo primo romanzo, "Fior di Sardegna", nel 1892 ed un altro suo scritto, "Le vie del male" (in cui si precisano il suo stile, i suoi limiti regionali ed i suoi interessi morali), fu ben recensito da Luigi Capuana.
Nel 1899, in seguito al suo matrimonio con Palmiro Madesani, si trasferì a Roma. La distanza dalla Sardegna agì positivamente su di lei, smussandone il regionalismo e sublimando il folklore sardo dei suoi scritti in una certa atmosfera fiabesca, adattissima agli interessi psicologici e morali dell'autrice.
La vita della Deledda non fu particolarmente ricca di avvenimenti ma fu molto feconda dal punto di vista letterario, scandita com'era dall'uscita quasi annuale dei suoi romanzi. Nel 1926 le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma dieci anni dopo.
Sospese com'erano tra Verismo e Decadentismo, le opere della Deledda testimoniarono in maniera molto chiara di questo passaggio, sia contenutisticamente che formalmente: dall'interesse per la cultura tradizionale sarda passarono alla vera e propria analisi psicologica, al cospetto della quale l'ambiente isolàno veniva trasformato in un puro e semplice sfondo.
da liber liber

2 commenti:

  1. Non amo molto la Deledda, sebbene abbia una scrittura molto bella, ma questo racconto mi ha rapito! Alla prossima scorribanda in libreria cercherò qualche sua raccolta, magari ci riavviciniamo :)

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  2. Questo racconto mi è piaciuto perchè mi ha fatto tornare indietro nel tempo, ai racconti dei miei nonni che purtroppo non ci sono più...
    Anni fa ho letto "Canne al vento" e devo ammettere che mi è piaciuto ma non ho cercato altre sue opere, rimedierò :-)

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