Sicilia 1960. Il presidente di una piccola compagnia edilizia, Salvatore Colasberna, viene ucciso alla fermata dell'autobus con due colpi d'arma da fuoco.
Le indagini vengono affidate al capitano Bellodi, comandante della compagnia di C., emiliano di Parma, ex partigiano e destinato a diventare avvocato.Bellodi interroga la gente presente al momento dell'omicidio, ma nessuno ha visto niente. Vengono interrogati anche i parenti del morto ma mantengono i loro segreti.
A questo punto compare un nuovo personaggio, Parrinieddu detto "il confidente", l'informatore della polizia che rivela due nomi: La Rosa e Rosario Pizzuco.
Il Capitano si rende conto che fra la scomparsa di Paolo Nicolosi, avvenuta la stessa mattina dell'omicidio, e il delitto c'è una relazione. La moglie del Nicolosi rivela a Bellodi, che il marito prima di scomparire aveva visto un suo conoscente "il zicchinnetta". Il capitano scopre che è un certo Diego Marchica, che viene subito arrestato. Parrinieddu capisce subito che la sua vita non durerà più di un giorno. Così invia una lettera dove sono denunciati i nomi dei colpevoli: Pizzuco e il potente Don Mariano Arena. Don Mariano viene arrestato, e al capitano Bellodi afferma che al mondo esistono cinque razze di uomini: gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraqua. Don Mariano con questa frase fa capire al commissario la sua potenza di mafioso.
Io - proseguì poi don Mariano - ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo...
Conosciamo gli assassini, il mandante e il movente, ma la giustizia non seguirà il suo corso...
Sciascia è stato il primo a scrivere un romanzo sulla mafia, fino al 1961 esistevano solo dei saggi e alcune opere teatrali.
Il romanzo è molto intenso (anche se breve), ma quello che mi ha davvero colpito è stato il comportamento del Governo degli anni 60, che nonostante le prove evidenti del fenomeno "mafia", continuava a negarne l'esistenza, e addirittura la definiva come una "fantasia dei socialcomunisti", (e pensare che due anni dopo sarebbe entrata in funzione una commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia).
Non ha la struttura del giallo tradizionale (omicidio-indagini-risoluzione del caso), a metà romanzo conosciamo i colpevoli, in realtà la storia è una denuncia contro lo strapotere della mafia e contro l'omertà dei cittadini, tanto che Sciascia nella nota finale di una edizione anni settanta, ammette di aver tolto molte parti del romanzo, per
"parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente, colpiti. Perchè in Italia, si sa, non si può scherzare nè coi santi nè coi fanti: e figuriamoci se, invece di scherzare, si vuol fare sul serio."
Assolutamente consigliato.
Autore: Leonardo Sciascia
Editore: Adelphi
EAN: 9788845916755
Questo è un romanzo che faccio leggere e studiare perché magari i miei studenti francesi non lo leggerebbero: Sciascia è morto da vent'anni ed è stato più o meno dimenticato. Non ci sono convegni in suo onore, né tesi di laurea, master o dottorato. Inoltre questo libro è del '61.
RispondiEliminaC'è una mafia che non esiste più in questo libro, quella alla Marlon Brando/Corleone. E c'è questo capitano dei carabinieri, parmigiano (interpretato al cinema da un biondo Franco Nero che di quelle zone è originario), il quale probabilmente finirà per morire in Sicilia, anche se nel libro non sta scritto altro che: «- Mi ci romperò la testa - disse a voce alta».
Baci, Jacqueline
E' vero Sciascia è stato dimenticato, ed è un male perchè le sue opere hanno rappresentato un pezzo della nostra storia.
RispondiEliminaSoprattutto "il giorno della civetta"